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È impossibile, a chiunque abbia vissuto quell'esperienza, dimenticare cosa siano stati il periodo intercorso tra l'ingloriosa fine del fascismo, il 25 luglio  1943; la fuga ignominiosa del re, l'8 settembre; la riapparizione di un diverso fascismo, vendicativo e sanguinario, al seguito delle armate germaniche spietate e crudeli occupanti del suolo della Patria; poi due inverni partigiani, venti interminabili mesi, prima che si giungesse alla liberazione; le vittime innocenti delle rappresaglie, gli ebrei deportati nei lager dello sterminio, i nostri soldati internati in Germania, i patimenti e la fame.

Dopo - si badi - che erano trascorsi quasi quattro anni di guerra, per metà nell'illusione della "immancabile vittoria", e per l'altra metà nel timore di una sconfitta incombente. Mentre la vita diventava sempre più dura, nelle città bombardate, ove si coltivava il mgrano nelle aiuole e nei parchi - cosiddetti "orti di guerra" - anche se sarà più la propaganda che il raccolto; quando ci si vestiva con la cosiddetta "lanital", che era un pessimo sostituto della lana; tutto era razionato, dal latte alle sigarette, e ci si nutriva più con i "surrogati" che con gli alimenti veri, visto che la razione alimentare, nel 1943 era fatta di 150 gr. di pane nero, di pochi cucchiai di olio, di qualche zolletta di zucchero, una fettina di carne quando c'era, e di tanta borsa nera, che c'era sempre: Con i gerarchi del regime che erano stati i primi a gridare "evviva la guerra", insuperabili però nell'imboscarsi.

Sono trascorsi ormai sessant'anni dai giorni della Repubblica sociale e dell'occupazione germanica, che sono stati i giorni più bui del nostro passato.
Il mondo e l'Italia sono oggi incomparabilmente diversi da quel tempo. Eppure guai se considerassimo che il ricordo dell'asprezza di quel tempo possa essere affidato solo al marmo dei monumenti, testimonianza muta di un sacrificio che fu senza pari.

Ed è perciò che ai testimoni di quel tempo si può chidere tutto, tranne che dimenticare.
Per due ragioni. La prima: anche se lo volessero non ci riuscirebbero. La seconda: anche se ci riuscissero, non sarebbe giusto che lo facessero.

In copertina sono ritratti il generale inglese Richard Mc Creery, il comandante Bulow e il tenente colonnello inglese Popski.
Nella controcopertina le tre immagini femminili ritraggono Iris Versari, Ines Bedeschi, Lina Vacchi.

illustrazione di Fabio Tramonti

Gianni Giadresco - Guerra in Romagna 1943 -1945
i tedeschi, i repubblichini, gli alleati, i partigiani, fatti e personaggi


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Giano GiadrecsoGianni Giadresco

Lugo di Romagna - 1927
Ravenna - 20 gennaio 2005.

Partigiano nella Brigata di Bulow.
Giornalista.
Ha assolto a vari incarichi di direzione politica nel Pci: membro del Comitato centrale, segretario della Federazione di Ravenna, al Centro del partito, vice responsabile della sezione stampa - propaganda, e della commissione di organizzazione, responsabile della commissione ceti medi e cooperazione, della sezione emigrazione/immigrazione, membro dell'Ufficio di Segreteria di Enrico Berlinguer.

Dal 1972 al 1987 è stato Parlamentare della Repubblica. Dopo lo scioglimento del Pci, ha aderito a Rifondazione comunista, poi al Partito dei comunisti italiani di cui è membro del Comitato Centrale; collaboratore del settimanale "Rinascita della sinistra".
È autore di libri sulla Resistenza (La battaglia di Ravenna), sull'antifascismo (I compagni di Ravenna, in collaborazione con lo storico Luciano Casali), sulla lotta politica e sociale (Amarcord del Pci, Il compromesso bizantino, Dai magliari ai vu' cumprà)

Prefazione di Massimo Rendina - Edizioni IL MONOGRAMMA Cooperativa Culturale (2004)
www.fianoromano.org