Nono anniversario della scomparsa di Gianni Giadresco, una cerimonia per ricordarlo

Ritrovo lunedì 20 gennaio 2014 alle 15.45 all'ingresso del cimitero di Lugo in via Canaletta

In occasione dell'anniversario della scomparsa del partigiano Gianni Giadresco, lunedì 20 gennaio alle 15.45 si terrà una cerimonia commemorativa presso il cimitero cittadino, alla quale tutta la cittadinanza è invitata. Per l'occasione, il sindaco di Lugo Raffaele Cortesi deporrà presso la tomba di Giadresco una composizione floreale, a nome di tutta la cittadinanza. Il ritrovo sarà davanti al cancello carrabile del parcheggio di via Canaletta.

Gianni Gradesco, nato a Lugo nel 1927, a soli sedici anni è diventato partigiano sotto il comando di Bulow (Arrigo Boldrini, un'amicizia durata nell'ANPI di cui è stato dirigente) e ha partecipato alla liberazione di Ravenna, il 4 dicembre 1944. Dopo la guerra diventa responsabile del PCI della sua città, poi segretario provinciale e consigliere comunale, poi parlamentare, dal 1972 al 1987. Nel PCI è stato stretto collaboratore di Giancarlo Pajetta, di Luigi Longo, di Enrico Berlinguer. Alla Bolognina si schierò contro lo scioglimento del PCI e fu tra i fondatori del Movimento per la Rifondazione comunista; nel 1998 aderì al partito dei Comunisti italiani. Si è dedicato al giornalismo, nell'ultima parte della sua vita, nella ricostruzione di pagine di cronaca e storia, soprattutto dei partiti comunisti, per la rivista "La Rinascita". Ha scritto sei libri e l'opera della sua vita è stata "Guerra in Romagna 1943-1945" (Il Monogramma), dove ha ricostruito gli anni della liberazione di Ravenna. E' deceduto a Ravenna il 20 gennaio 2005.

lugonotizie.it

Gianni Giadresco - www.giadresco.it

Gianni Giadresco

di Daniela Preziosi (Liberazione - 21 gennaio 2005)

E' morto ieri Gianni Giadresco, da sempre nel Pci, tra i fondatori di Rifondazione, ora nel Pdci. Domani i funerali a Lugo, il comune romagnolo dove era nato 78 anni fa

Una vita di critica e impegno

Se n'è andato come se ne vanno gli uomini giusti, secondo gli antichi romani. Ma siccome a quest'espressione sarebbe scoppiato in una grassa risata, aggiungiamo che se n'è andato soprattutto come il gran romagnolo che era: senza tante storie.

Ieri, all'ora di pranzo, Gianni Giadresco si è addormentato, semplicemente. Aveva settantott'anni. La biografia di Gianni è quella da manuale, per la sua generazione. A sedici anni diventa partigiano sotto il comando di Bulow (Arrigo Boldrini, un'amicizia durata fino a ieri, nell'Anpi di cui era dirigente) e partecipa all'esaltante liberazione di Ravenna, il 4 dicembre '44. Dopo la guerra diventa responsabile del Pci della sua città, poi segretario provinciale e consigliere comunale, poi parlamentare, dal ‘72 all'87. A Botteghe oscure si occupa, fra l'altro, dei nostri emigranti. In particolare dei nostri operai in Argentina negli anni della dittatura, con una passione che non l'ha mai più abbandonato: quando qualche anno fa è iniziato a Roma il processo contro i militari golpisti, Giadresco l'ha seguito con la pignoleria di un cronista al suo primo pezzo; e invece aveva ormai una bella età.

Nel Pci, il suo partito per sempre, è stato stretto collaboratore di Giancarlo Pajetta, di Luigi Longo, di Enrico Berlinguer. Alla Bolognina si schierò contro lo scioglimento del Pci, fu tra i fondatori di Rifondazione comunista e nel '98 entrò nei Comunisti italiani, del comitato centrale ora faceva parte.

Era stato filosovietico, ma non ottuso; d'altro canto Enrico Berlinguer, che lo aveva voluto in segreteria, lo chiamava "Giadrescu": per sfotticchiarlo alla sua maniera composta di questa sua inclinazione per Mosca.

Ma era tanto tempo fa. Gianni è sempre stato uno inflessibile nella critica, che ha risparmiato pochi anche (ma non soprattutto) nella "sua" sinistra. Era un combinato disposto fra il massimo della critica e il massimo dell'obbedienza.

Amava la vita, la buona cucina, le donne, aveva il gusto per la battuta un po' grossa. Ne hanno fatto le spese in molti; ma ancora se le ricordano i repubblicani della sua zona, nel '53, quando fecero l'alleanza con la Dc sulla legge truffa: e Gianni, laico e un po' mangiapreti proprio come i repubblicani di quelle parti, gliene diceva di tutti i colori. Era romagnolo, e talmente lo sapeva importante che lo incuriosiva la romagnolità del fascismo; ne ha scritto a più riprese.

Era inflessibile con tutte quelle che giudicava deviazioni di linea, e non smetteva mai di fare ramanzine ai più giovani, troppo poco inquadrati. Ma capiva, Gianni capiva le persone, aveva un'umanità ricca e allegra, che alla fine contava molto di più delle incomprensioni ideologiche. Le mancanze sul piano umano, anche nel partito, innanzitutto nel partito, lo preoccupavano prima e più di qualsiasi questione politica. E non mancava di rispetto alle persone perché la mancanza di rispetto l'aveva conosciuta dai fascisti e dai nazisti.

Si è dedicato al giornalismo, nell'ultima parte della sua vita, nella ricostruzione paziente e certosina di pagine di cronaca e storia, soprattutto dei partiti comunisti, nella rivista La Rinascita della sinistra. Ha scritto libri, ma l'opera della sua vita è stato il suo ultimo, Guerra in Romagna 1943-1945 (Il Monogramma), dove ha ricostruito gli anni della liberazione di Ravenna. Qualche settimana fa, quando ormai la malattia lo aveva fortemente provato - ma lui non mollava, fino a l'altro ieri faceva progetti per quando sarebbe uscito - ce lo ha confessato: avrebbe potuto cominciare a curarsi prima, ma voleva finire il suo libro, era un debito che aveva con i suoi romagnoli.

E infatti il suo racconto è un romanzo corale in cui ha infilato dentro, con furia compilativa, una storia dopo l'altra, tutti quelli che si ricordava e di cui aveva racimolato qualche documentazione: tutti, dai più eroici ai più anonimi. Tutte soprattutto: perché se era entusiasta per le vittorie militari che i partigiani seppero ottenere contro un esercito vero, quello tedesco, sapeva che la liberazione non ci sarebbe stata senza le donne, quelle che nascondevano i ricercati, che cucivano i vestiti, che inventavano di tutto per allontanare i tedeschi. E senza i contadini, che bruciavano il raccolto condannandosi alla fame, pur di non consegnarlo. Aveva voluto parlare di tutti, uno per uno: perché a tutti, ci ha detto, bisognava essere grati per sessant'anni di democrazia e Repubblica. La sua città, il suo sindaco, i suoi amici, lo hanno ripagato, giustamente e per fortuna, apprezzando lo sforzo che aveva fatto per quello che era: un grande regalo. Perché Gianni, che stava per morire, sapeva che quando se ne va un uomo brucia una biblioteca intera; e lui, scrivendo il libro, ha salvato la sua, per generosità, per convinzione politica, per amore della vita e per passionaccia di comunista.

Lascia le figlie Barbara e Luana, gli amatissimi nipoti Matteo e Michele, l'amico Ettore Zannoni e i partigiani che lo hanno assistito fino all'ultimo. Lascia a noi il suo stile, non si è arreso fino all'ultimo, e dalla Resistenza a ieri ogni volta che doveva fare qualcosa che agli altri sembrava francamente improbabile, diceva semplicemente "us' po' tinté", ci si può provare. I funerali si svolgeranno sabato alle 14,30 davanti al cimitero di Lugo, il comune romagnolo dove era nato. Ciao Gianni, e grazie di tutto.


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