Un libro sui volontari della “Legione SS italiana”

di Gianni Giadresco

Con una buona dose di fantasia, Cino Moscatelli, il popolare comandante partigiano della Val d’Ossola, in uno dei momenti più cruenti e difficili della guerra di liberazione nazionale, ebbe l’idea beffarda di fare stampare dei volantini di questo tenore: “Fascisti! Basta “bandi”, qui non abbiamo più posto”. Poche parole che dicevano tante cose e facevano schiattare di rabbia i fascisti repubblichini. Era un modo per esaltare la disobbedienza dei ragazzi di leva richiamati alle armi dalla Repubblica sociale, a mezzo dei famigerati “bandi” che portavano la firma del generale Graziani. Quei bandi, per la chiamata obbligatoria alle armi, ottenevano nella maggior parte dei casi l’effetto contrario, spingendo altri giovani a darsi alla macchia. Sicchè l’ironico Moscatelli, diceva se non la fate finita con la leva obbligatoria verranno tutti da noi e non avremo il posto dove metterli. Ma se questo era il quadro generale della situazione italiana a seguito dell’armistizio dell’ 8 settembre 1943, vi erano delle eccezioni, come, ad esempio, nel caso delle famigerate formazioni delle SS italiane, alla cui storia, vergognosa ed orribile, ha dedicato una preziosa antologia Primo de Lazzari, il quale aggiunge, così, un altro titolo alla sua già nutrita serie di opere dedicate alla storia della Resistenza e dell’antifascismo italiani ed europei. In questo suo ultimo volume de Lazzari fa un accurato assemblaggio di testi poco noti, o di non facile reperimento, dedicati in tutto in parte alla vicenda di quelle migliaia — si dice circa ventimila - che decisero di servire, più che il loro Duce e la Repubblica Sociale, Hitler e la Germania, il “Grande Reich Tedesco”, anzi, per dirla con le parole della loro orripilante canzone di guerra: “il Sacro Impero Tedesco”. Del resto, all’anagrafe risultavano cittadini italiani, ma giuravano fedeltà al Reich, ne vestivano l’uniforme, con le mostrine delle Ss di Himmler, ne imbracciavano le armi e alla cintura portavano il pugnale a forma di daga, che era in dotazione delle Ss fin dal lontano 1933, “molto ambito”, si legge, avendo inciso sulla lama il motto: “Meine Ehre heisst Treue”, il Mio Onore è la Fedeltà. Ed è anche il motto che si legge oggi sui muri di alcune strade di Roma o di altre città, se non addirittura negli striscioni che fanno bella mostra negli stadi. In ogni caso, è ben evidente, che l’onore e la fedeltà, virtù rispettabili in un soldato, non hanno proprio niente a che vedere col disonorevole servigio reso allo straniero, per di più quando col suo esercito calpesta il suolo patrio e imprigiona e uccide i propri compatrioti.

Arrigo Boldrini, il leggendario comandante Bulow, presidente nazionale dell’Anpi, ha scritto la presentazione del libro di de Lazzari. “Perché”, domanda, “tanti italiani (...) giurarono fedeltà alla Germania nazista, ponendosi agli ordini di Adolf Hitler? Anch’essi si schierarono con il suo esercito, spesso partecipando ai suoi atroci eccidi di civili inermi, donne, vecchi, bambini, neonati, sacerdoti, perpetrati in molte località per la cui elencazione sono necessarie intere pagine. (...) Chi erano questi ventimila armati, organizzati da militari fanatici e agli ordini di ufficiali tedeschi, non pochi autopromossisi sul campo con gradi mesistenti e ammiratori del nazismo germanico? Che cosa li spingeva a combattere una guerra gia’ persa tradendo di fatto e di diritto il proprio Paese? “. Che cosa - aggiungiamo noi - oltre il cospicuo “soldo” che ricevevano, di cui alla pag. 95 del libro viene fornito un non immaginato prospetto? Anche questo, perché non dirlo, ha fatto la (differenza morale fra la Resistenza e i repubblichini. Questi ultimi lautamente remunerati attingendo dalle casse dello Stato (d’altra parte , la Repubblica Sociale, con i soldi degli italiani, ha pagato anche il conto presentato dai tedeschi per le spese dell’occupazione); mentre i partigiani non avevano altro sostegno che quello del popolo. Gli interrogativi sollevati da Bulow appartengono a chi considera inconcepibile che vi fossero degli italiani, cui non bastava essere fascisti , del fascismo vendicativo e sanguinario di Salò. Vollero essere nazisti, come i massacratori delle Ardeatine e dei nostri soldati a Cefalonia, di tanti bambini a Sant’Anna di Stazzema, di tanti civili inermi a Marzabotto, come i responsabili delle deportazioni degli ebrei, e gli uccisori di tanti poveri contadini del Mezzogiorno, come è accaduto a Caiazzo, ove si consumò forse la prima delle stragi tedesche in Italia, i cui autori Benedetto Croce definirà nella celeberrima epigrafe: “Non l’umano avversario/ nelle umane guerre/ ma l’atroce nemico dell’Umanità”. Purtroppo, per quanto sia triste riconoscerlo, “l’atroce presente nemico dell’umanità” aveva avuto i natali nel nostro Paese, ancorchè avesse giurato di servire la Germania. L’allucinante formula di questo giuramento - quasi un rito nibelungico - è la seguente: “Davanti a Dio presto questo giuramento: che nella lotta per la mia Patria italiana contro i suoi nemici sarò in maniera assoluta obbediente ad Adolf Hitler Supremo Comandante dell’Esercito Tedesco, e quale valoroso soldato sarò pronto in ogni momento a dare la mia vita per questo giuramento”. Se questo non bastasse, si può aggiungere il profilo tracciato in un giornaletto intitolato “Onore”, in cui si risponde alla domanda “Chi siamo”: “Siamo i traditi”, “Siamo i volontari della morte”, “Siamo i fedeli di ieri, di oggi, di sempre”, “Apparteniamo alla SS italiana, aristocrazia di fede e siamo fieri di dichiararlo” “Siamo uomini d’onore”. Quale significato abbiano queste inverosimili espressioni, a dir bene oltre i limiti della follia, in cui prevale lo stravolgimento più assoluto di ogni Valore umano e civile, ben al di là della stessa bestiale brutalità della guerra, lo si può leggere nélle pagine del libro di de Lazzari nel capitolo dedicato all’impiego dei reparti delle Ss italiane “in funzione antiguerriglia”: raccapriccianti crudeltà che ripugna perfino ricordarle. Valgano, ad imperitura condanna, le suppliche alla pietà (riportate in seguito, Sergio) avanzate dai Vescovi del Friuli e della Venezia Giulia, due regioni italiane che, con il beneplacito della Repubblica di Salò, erano state incorporate nel Terzo Reich e ribattezzate, appunto, il Friuli “Alpen vorland”, la Venezia Giulia e la costa dalmata “Adriati sche Kusterland”.

Del resto, gli spietati esecutori del folle giuramento “nibelungico”, nelle loro canzoni non esaltavano gli atti di valore, come si addice all’onore del soldato, bensì intonavano le truci imprese dei criminali di guerra: Brutte facce da impestatiti da noi presto eliminati! contro un muro fucilati! su un albero impiccati! con il pugnale sgozzati! con le bombe dilaniati “ (pag. 111) E’ certamente opera meritoria e preziosa quella svolta da Primo de Lazzari, anche se le pagine del suo libro fanno rivivere la crudezza di tempi e avvenimenti che furono tanto gravi e tristi nel tragico scenario dei 600 giorni di Salò, dal 1943 al 1945. Consola il fatto che noi sappiamo come è andata a finire: pur dopo tanta sofferenza e tanto sangue, per fortuna nostra e delle generazioni più giovani, non ci fu solamente il martirio delle vittime, ma si ebbe anche il riscatto; i repubblichini di Salò, la Germania di Hitler, con le Ss tedesche e italiane, sono stati sconfitti. E’ ben immaginabile che cosa sarebbero oggi l’Italia e l’Europa, se non avesse vinto 1’ antifascismo, e se la guerra di Liberazione nazionale, con i suoi partigiani, i suoi soldati e ufficiali deportati, i suoi ebrei sterminati, non avesse riscattato l’onore della nostra Patria agli occhi dei mondo civile.

Cose disonorevoli Mons. Antonio Santin, Vescovo di Trieste, il 23 aprile 1944, scrisse in questi termini al Commissario tedesco “Regierugspresident” dell’Adriatische Kusterland (Litorale Adriatico) nella città di Trieste: In gran parte dell’Istria non vi è traccia di vita civile. Tutti vivono sotto una specie di incubo... Regna il terrore... Avvengono esecuzioni di ostaggi. In pochi giorni ne abbiamo avute 121. L’impressione è terribile... Specie da Pisino partono continue spedizioni di tedeschi e fascisti, i quali spargono il terrore e la disperazione nella povera popolazione... Quando poi passano le formazioni SS, allora avvengono le cose più atroci e disonorevoli. Uccisione di innocenti trovati a casa o sul lavoro, ruberie, distruzioni di case e di beni. Cose indescrivibili e ignominiose. La gente fugge terrorizzata. Ed è inutile accusarla perché fugge: se rimane a casa viene trucidata, se fugge viene uccisa. Nessuno sa più come salvarsi....”

Seminario assaltato Al Commissario supremo germanico per l’Alpenvorland (Friuli), da parte di mons. Girolamo Bortignon, Vescovo di Belluno e di Feltre, il 4marzo 1945: “Sono parecchie centinaia di cittadini uccisi, alle volte incendiati pel solo motivo di rappresaglia: fra questi si contano donne, fanciulle e fanciulli, e l’uccisione avvenne senza dare possibilità alcuna ai poveretti di disporre delle ultime volontà e di avere l’assistenza religiosa. Molti cittadini furono derubati delle loro sostanze ed ebbero la loro abitazione distrutta dal fuoco. Paesi interi furono completamente incendiati... Qua e là si volle incrudelire contro il Clero. ... Non si ebbe neppure riguardo per la persona del Vescovo, che fu trattenuto per quattro ore e mezzo alla Gendarmeria di Belluno, che fu preso a forza da un sotto Ufficiale in quel di Lamon e costretto a portarsi dinanzi l’incendio di una casa entro la quale fu fatta bruciare crudelmente una povera mamma; che fu rastrellato a Feltre e nonostante replicate proteste trattenuto per ben sette ore. Si volle prendere d’assalto il Seminario di Feltre con lancio di bombe e colpi di fucile. .. Infine sacrilegamente si osò perquisire il S. Tabernacolo, ed il Sacerdote Don Giuseppe Perotto che stava preparando l’altare per la celebrazione della S. Messa per gli operai della Todt fu oscenamente insultato...”.

Grida vendetta Il 14 marzo 1944, mons. Giuseppe Nogara, Arcivescovo di Udine, si rivolge al Commissario supremo germanico dell’Adriatische Kusterland : “Chi a voi si rivolge è l’Arcivescovo dell’antica, illustre e vasta Arcidiocesi di Udine. Ciò che avviene nella sua Diocesi ad opera delle autorità germaniche e delle loro truppe, è qualcosa di raccapricciante, di inaudito, che grida vendetta in cielo e in terra... Volete una vittima espiatrice per tutti? Prendete me, mettetemi in carcere, sono nelle vostre mani, ma lasciate in pace i miei figli”. (da Primo de Lazzari, “Le SS italiane’; alle pagg. 131/135/132)

 
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