Gianni Giadresco - Guerra in Romagna 1943 - 1945Avvenimenti - 3 dicembre 2004

Operazione Teodora
liberate Ravenna

Nel sessantesimo anniversario, un libro che racconta quei giorni

Come in tutte le liberazioni, iniziò con uno sbarco. In questa liberazione lo sbarco avvenne vicino Cervia, Adriatico romagnolo. Il peschereccio a remi portava quattordici passeggeri: un comandante dal nome tedesco, dieci partigiani italiani, due piloti americani salvati dai contadini dopo l’abbattimento del loro aereo. Il quattordicesimo dell’equipaggio era una damigiana di romagnolissimo sangiovese, ché la traversata era lunga, l’inverno freddo, tredici portava male, e visto che l’impresa era già una pazzia (il mare era in tempesta, alla missione aveva già rinunciato un sottomarino alleato) non c’era alcun bisogno di rischiare un dipiù di sfiga. I pescatori veri avevano detto “us’ po’ tinté”, si può tentare, e così all’alba del 18 novembre i pescatori falsi sbarcarono sulla spiaggia di Milano Marittima dove li aspettava la jeep della polizia alleata. Venivano dall’altra Italia, quella dove c’erano ancora i tedeschi, avevano un piano da proporre al generale Mc Creery, ed era la liberazione di Ravenna con un’operazione a tenaglia dell’esercito inglese e delle truppe partigiane, poi passerà alla storia come “Operazione Teodora”. La vicenda viene ricostruita, azione dopo azione, fotogramma per fotogramma, da Gianni Giadresco in Guerra in Romagna 1943-1945 (Il Monogramma, 320 pagine, 13 euro). O, meglio, il racconto, appunto, della “guerra in Romagna” è tutto costruito intorno alla liberazione di Ravenna, avvenuta il 4 dicembre’44, sessant’anni fa. Prima di condurci dentro questo evento, l’autore - che ne è stato protagonista e testimone oculare - presenta i personaggi che si muovono sulla scena. Innanzitutto il comandante Bulow, al secolo Arrigo Boldrini, medaglia d’oro al valore militare, capo della 28esima Brigata Garibaldi, inventore della “pianurizzazione” della guerriglia partigiana, fin lì concepita come tattica montagnarda. Intorno a Bulow si muovono decine di combattenti. Soldati come Ateo, capo del distaccamento Settimio Garavini; e condottieri da romanzo come Popski, Wladimir Peniakoff, l’ufficiale inglese di origine russa troppo vecchio per arruolarsi che ottiene dalla regina il permesso di mettere su un suo esercito corsaro, con il quale salva la Basilica di Sant’Apollinare in Classe, grazie all’indispensabile aiuto dei partigiani - come dice una lapide fresca di conio proprio dentro la basilica -. E tonache, quante, a questa latitudine della Resistenza, e dire che siamo in una delle zone più mangiapreti d’Italia: da don Lorenzo Bedeschi, voce radiofonica dell’VIII Armata, a padre Leone Checcacci, camaldolese, che dal priore riceve l’ordine di fare da angelo custode a un gruppo di generali inglesi scampati alla prigionia, e lo fa, padre Leone, alla lettera, attraversando con loro le linee nemiche e finendo poi per arruolarsi volontario, diventando il cappellano militare del Corpo di Liberazione Nazionale. Ma soprattutto i personaggi che Giadresco racconta sono staffette, donne, operai, contadini poveri ma graniticamente antifascisti, quelli che sconfissero i tedeschi davanti alle trebbiatrici, e si disposero a morire di fame piuttosto che “conferire agli ammassi”. Quelli contro cui si scaglia il peggio della barbarie nazi-fascista, le stragi dei civili, interi paesi fucilati, donne e bambini compresi - chi si salva è perché ha la fortuna, chiamiamola così, di cadere sotto la catasta dei cadaveri dei parenti. Irrompe sulla scena delle manovre militari la resistenza civile, in una storia, quella scritta da Giadresco, che pure ha il gusto per la memoria delle miracolose vittorie militari (miracolose, perché si fronteggiano un esercito di veterani tedeschi, e brigate di giovanissimi quasi sempre privi di una preparazione militare degna di questo nome). Massimo Rendina, partigiano pure lui, nella prefazione la definisce «la partecipazione alla resistenza, quale fenomeno di massa che certo revisionismo nega». Pagina dopo pagina si compone un romanzo corale sulla liberazione romagnola. Racconto fatto di racconti: Giadresco, con la sua ricerca, la sua documentazione affettuosa e riconoscente, rende conto di tutte le vicende che è riuscito a recuperare, nella sua vita di testimone oculare, di partigiano combattente, e poi parlamentare e dirigente del Pci, sempre appassionato collezionista di memorie, ancora oggi amico e confidente di Bulow. Giadresco infila generosamente una storia dopo l’altra, nell’ansia di non dimenticare nessuno di quelli che hanno pagato un prezzo alla nascita della repubblica italiana; riferisce anche le leggende partigiane, le trascrizioni mitiche, a volte credendoci, a volte no, ma sempre convinto che siano da consegnare alle generazioni future perché sintomi del sentire dell’Italia che si liberava. Trova il giusto spazio anche la Brigata Ebraica, quattromila uomini provenienti dalla Palestina e da altre cinquantatré nazioni a combattere contro i nazisti, dei quali per lo più si ignorano le vicende. Trovano il giusto spazio, dio ci perdoni l’accostamento, anche i romagnoli fascisti, primo fra tutti Benito Mussolini, l’omazz. E qui il romagnolo Giadresco si diverte a ricamare la trama fra diciannovismo e la romagnolità, fra Salò e romagnolità, fascismo e romagnolità. Adescrivere gli improbabili Bombacci, Romualdi, Errani, Altini, per così dire dall’interno. Quei «caratteri della Romagna, e dei romagnoli» venuti dai fermenti garibaldini e mazziniani «cui avevano fatto riscontro le deludenti conclusioni dell’Unità nazionale». Ma questa sarebbe ancora un’altra storia. Si capisce che il comune di Ravenna abbia ampiamente utilizzato questo testo nel corso delle celebrazioni del sessantesimo della liberazione, specialmente nelle scuole. Dice un proverbio africano che certi uomini sono biblioteche. Siamo grati a Giadresco che abbia voluto lasciarci la sua. Un’intera biblioteca, della sua città (e insieme del nostro paese), un ritratto di famiglia, in questo caso fascisti esclusi, ché coi fascisti Ravenna ha chiuso i conti sessant’anni fa.

di Daniela Preziosi

www.giadresco.it