Kesserling: “Normale operazione militare”

Di Gianni Giadresco

Aveva sperato di farla franca, e c’era quasi riuscito, il boia di Marzabotto, detto “il monco maledetto”. Nel caos seguito all’insurrezione del 25 aprile e alla resa delle truppe tedesche in Italia (3 maggio), il maggiore delle SS, Walter Reder, si era mischiato alle migliaia di soldati germanici che cercavano scampo, tentando di ritornare in patria, per non finire nelle mani dei partigiani, o prigionieri degli anglo-americani. Gli uni e gli altri avrebbero chiesto contro delle sue malefatte. Perciò l’arroganza ufficiale teutonico, tipico rappresentante della “Herrenrasse”, la razza superiore, messa al mondo dal nazismo, capace di sterminare senza pietà donne vecchie e bambini, ma incapace di fare fronte alle sue responsibilità di soldato, si era dato, ignominiosamente, alla fuga. Lui che aveva cominciato la carriera di fanatico nazista, molto tempo prima dello scoppio della seconda guerra mondiale. Era stato implicato, quando aveva 19 anni, nell’assassinio del cancelliere austriaco Dollfuss avvenuto nel 1934. Si salvò soltanto riparando in Germania.

Nel 1945, con qualche stratagemma, egli era riuscito a raggiungere la città austriaca di Salisburgo, dove viveva la madre. Vi resterà indisturbato per qualche tempo, forse in attesa del passaporto per l’Argentina (come Priebke), ma arrivarono prima gli “MP” inglesi, agenti della Military Police, che lo portarono nel campo di concentramento anglo-americano di Wolfsber – lo stesso in cui erano Kesselring e altricriminali nazisti – in attesa del trasferimento in Italia, per il processo che, nel 1951, si celebrerà davanti al Tribunale Militare di Bologna. Radio Bari, che ogni giorno, con le sue trasmissioni, denuciava i crimini commessi dai nazifascisti nell’Italia occupata, lo aveva segnalato, sin dall’ottobre 1944, come il principale responsabile della strage di Marzabotto, ed aveva ricordato che il maggiore, Walter Reder, è lo stesso criminale di guerra che ha lasciato un segno indelibile ovunque sia passato, in Polonia, in Jugoslavia, in Russia, prima che nella Lunigiana, in Versilia, e nell’appenino bolognese. Ovunque erano passati, lui e i suoi reparti, avevano fatto terra bruciata: non lasciavano testimoni delle loro imprese (o almeno così credevano): “Alles Kaputt”, tutti morti; anche i bambini – a Marzabotto ne uccisereo 216, il pìu piccolo era nato da solo 14 giorni, infilato nei baionette -, anche i vecchi molti ultraottantenni, persino le religiose, cinque sacerdote, uno dei quali, don Giovanni Fornasari, verrà decorato di medaglia d’oro.

Come si diceva di Attila, dove era passato lui non cresceva più nemmeno l’erba: sul finire di quell’indimenticabile estate del 1944, quando più brutale e violenta si era fatta la repressione nazifascista, tra l’ultimo venerdì di ottobre, nel solo rastrellamento che porta il nome di Marzabotto, I tedeschi agli ordini di Reder trucidarono 1830 persone, su una popolazione presente di non più di settemila anime (inclusi i numerosi sfollati dalla città di Bologna), in un’area compresa, grosso modo, tra Sasso Marconi e Porretta, nelle vallate dei fiumi Setta e Reno. In questo “fazzoletto di terra”, tutto ciò che, i moderni emuli di Gengis Kan, incontravano di vivente sul loro cammino, persone e animali, lo cancellavano dalla faccia della terra, mettevano a ferro e a fuoco ogni casa, ogni scuola, ogni chiesa, ogni cascinale, ogni cimitero, tutto. Del resto Walter Reder, l’ineffabile ufficiale, che aveva perduto l’avambraccio sinistro dul fronte russo – da cui l’appellativo di “monco”, da parte dei suoi stessi camerati, e di “maledetto” affibbiatogli dalle sue vittime -, era il prediletto di Himmler, ed era apprezzato da Kesseelring, il comandante in capo delle truppe germaniche in Italia, che lo trovava l’incarnazione della “guerra totale” e del tipo di repressione antipartigiana che lui stesso, Kesselring, aveva teorizzato, assumendone il commando in prima persona, in quanto riteneva che, quello della Resistenza, non era un problema di polizia, ma una questione militiare, da risollvere drasticamente, con tutti i mezzi, artigliera, carri armati, lancifiamme.

Per vincere ogni eventuale ritrosia e scrupolo dei sui comandanti, che trasformava in ausiliari della famigerata Gestapo, Kesselring, garantiva loro la sua “protezione” qualora, com’era probabile, avessero esagerato, violando così le regole dell’onore del soldato, e calpestato i princiipi umanitari.

Il maggiore Walter Reder, che si era segnalato, su tutti i fronti, per la determinzatione e la spietatezza con cui assolveva ai compiti più brutali e atroci, che degradano gli uomini e disonorano i soldati era il comandante di reparto adatto a realizzare le orrende teorie di Kesserling.

Il giovane comandante delle SS, Walter Reder, ufficiale tra i più brillanti delle truppe speciali del Terzo Reich, vantava uno stato di servizio di tutto riguardo, ma non essendo più idoneo al combattimento, per via di quella dannata granata russa che gli aveva spappolato l’avambraccio sinistro, aveva chiesto, ed ottenuto, di essere impiegato in Italia.

Fra le sue prime imprese vi sono la fucilazione di 15 giovani renitenti catturati, il 3 giungo 1944, a forno di Lucca, e nella stessa giornato, la strage di 69 ostaggi sul greto del fiume Frigido, alle falde delle Apuane. Poche settimane dopo, alla fine di luglio, quando I tedeschi incominciavano a ripiegare sulla Linea Gotica, gli affidarono il compito di evacuare le popolazioni della Versilia che, sfollate dalla costa, avevano trovato rifugio nell’immediato retroterra.

IL 12 agosto il “monco maledetto” era con I suoi uomini (sarebbe il caso di dire le sue belve) a Sant’Anna di Stazzema, ove diresse di persona l’eccisio di 560 civili, in massima parte, vecchi, donne, bambini, che none rano stati in grado di lasciare la località entro il termine da lui stabilito. Sei giorni dopo era a Bardine di San Terenzio: 53 civiili trucidiaati al mattino e 107 uccisi il pomeriggio. Non ancora sazio, portò le sue belve, fra il 24 e il 26 agosto, a Vinca, ove uccideva altri 200 civili, compiendo atrocità indescrivibili (donne incinta sventrate, vecchi bruciati vivi, persone impalate, nemmeno I bambini risparmiati). Nei giorni successivi le strage continuarono. Il 2 settembre a Farneta (dove furno torturati e uccisi anche alcuni tra I frati cistercensi, ivi compreso quel padre Costa, decorato di medaglia d’oro, per il quale è stato avviato il processo di beatificazione); il 16 settembre a Bergiola, e altri luoghi delle province di Lucca e Massa Carrara.

Le repressioni, in Versilia e nella lucchesia, furono apprezzate a tale punto dall’Alto Comando Germanico, che lo stesso Kesserling, incaricò Reder di eseguire un analogo lavoro sul versante appenninico emiliano, dove I partigiani della Brigata “Stella Rossa” – il cui comandante e il suo luogotenente , Mario Musolesi (detto “il lupo”) e Gastone Rossi, decorati di medaglia d’oro alla memoria, cadranno entrambi, con altri 220 partigiani, nel vano tentativo di resistere al rastrellamento -, attestati nei dintorni del Monte Sole, non davano tregua ai tedeschi. In vista dell’immaginata offensiva della liberazione le azioni partigiane si erano fatte più audaci e I tedeschi non tolleravano di essere presi tra due duochi. Peraltro in una zona di primaria importanza strategica, come I valichi dell’appennino centrale, che, in quel tempo, non esistendo l’autostrada del sole, erano limitati alle statali della Porrettana, verso Pistoia e ai passi della Futa e della Raticosa tra Bologna e Firenze.

D’altra parte, in un radiomessaggio del 6-8 giugno 1944, il Comandante Alleato, generale Harold Alexander, non aveva nascosto le ambizioni dell’offensiva che gli anglo’americani si apprestavano a lanciare sul fronte italiano. Percìo chiedeva ai partigiani di attaccare senza sosta I tedeschi, così da favorire l’avanzata alleata: “L’ordine è di molestare le truppe tedesche e di ostacolare in particolare I trasport. Per le zone suddette (appenniniche, litorali) il comando è di uccidere I tedeschi, di distruggere I loro trasporti in tutte le maniere.”

Ma gli Alleati non avevano fretta. L’8° Armata si impantana tra I fiumi della Romagna, e finirà alla linea del fiume Senio. Sulle montagne, la 5^ Armata, svernerà a una decina di chilometri in linea d’aria da Marzabotto, e a 18 km. da Bologna. Tuttavia l’offensiva aveva alimentato le speranze delle popolazioni e dei partiggiani, quanto era avvertita come una minaccia più incombente da parte dei tedeschi.

In questa situazione, Kesserling ricorse al comandante Walter Reder, la cui triste fama si era dimostrata non usurpata. Ed è così che il “monco maledetto” era giunto, alla fine dell’estate, nella collina bolognese, dove, supererà se stesso, compiendo la più orrenda strage avvenuta in Italia nella seconda guerra mondiale, e una delle più efferate tra quelle perpetrate in Europa, da Lidice, a Oradur sur Glane, a Varsavia.

Nella frazione Casaglia, I tedeschi irrompono nella chiesa, uccidono il prete officiante e tre vecchi che non avevano obbedito in fretta all’ordine di abbandonare il luogo sacro. Gli altri vengono ammassati nel cimitero e mitragliati. Erano in numero di cento quarantesette, tra cui ciquanta bambini.

In località Caprara, gli assassinati saranno cento sette, compresi 24 bambini. Nei casolari dei dintorni sono messe a morte, nelle forme più spaventose e orribili, duecento ottantadue persone, ci sono tra loro cinquantotto bambini e due suore.

A Cerpiano quaranta nove, tra cui ventiquattro donne e dicianove bambini, sono rinchiusi in un oratori e mitragliati a gruppi, si salvano una maestra e due bambini, sotto il cumulo dei cadaveri. Poco lontano verranno fatte altre centotrè vittime, scovate casa per casa o incontrate casualmente per strada, I tedeschi gettano bambini vivi nelle case incendiate, sventrano donne in cinta, si abbandonano a scempiare I cadaveri. Nella parrocchia di Creda, ottantuno sono le vittime e altri nei casolari isolati nei pressi, quarantotto uomini, tra I quali due sacerdoti, I cui cadaveri sono gettati nel fiume.

La catena degli eccidi potrebbe continuare fino a riempirre intere padine del fiornale: le località di Tagliadazza, di Abelle, di Colullla di sopra (dove un’anziana paralitica è lasciata morire nella sua casa in fiamme e una giovane in avanzato stato di gravidanza è squartata con le baionette), di Colulla di sotto (16 componenti di una famiglia con 9 bambini, il minore ha 24 giorni, sono fatti uscire ddalla casa che verrà data alle fiamme, I bimbi strappati alle madri sono gettati vivi tra le fiamme del fienile, gli altri sterminati a colpi di spandau – la micidiale mitragliatrice in dotazione alla Wermacht -), della Canovetta, di S. Martino, di Sperticano, di Pioppe di Salvaro, e così via, di ogni località e di ogni parrocchia; è una carneficina, fino al conteggio finale: 1830, Alles partisanen Bandengruppen “Roter Stern”, Alles Kaputt.

In realtà, I partigiani della Brigata “Stella Rossa”, che resteranno uccisi, saranno 222, mentre dli altri 1608 erano popolazione civile, non combattente. Tutti assassainati nei modi più orrendi, che ripugna – anche a mezzo secolo di distanza – il soffermarsi a descrivere I macabri particolari, così come furono riferiti da quie pochi che il destino ha voluto potessero salvarsi.

Fu tale l’orrore e l’indignazione dell’opinione pubblica Bolognese – seppure si avessero notizie solamente frammentarie e parziali – che il comando tedesco della piazza di Bologna, non osò, a differenza di quanto aveva fatto a Roma per il massacro delle Fosse Ardeatine, rivendicare iil “diritto di rappresaglia”. Ciononostante le autorità repubblichine bolognesi si associarono ai tedeschi nel negare l’orrbilie strage, e “il Resto del Carlino”, l’11 ottobre, pubblicò un corsivo dal signifucativo titolo “Voci inconsistenti”. Il quotidiano bolognese, assicura di avere svolto un sopralluogo e conclude così: “Siamo, dunque, di fronte a una nuova manovra dei soliti incoscienti destinata a cadere nel ridicolo.”

Basterebbe questa citazione a giustificaare il provvedimento di epurazione, che sarà adottato dal Governatore Militare Alleato, a carico del “Resto di carlino”, che, come si sa, dopo la liberazione, per alcuni anni, potrà stamparsi solamente cambiando testata (Giornale dell’Emilia).

Il 31 ottobre 1951, davanti al Tribunale Militare di Bologna, si conclude il processo a carico di Reder. Nella sentenza c’è scritto, tra l’altro: “ Dalla valutazione dei fatti e dalle relative prove non è emersa la piuù lontana parvenza di necessità bellica… Al Reder, secondo la terminologia in uso in questo dopoguerra, si attaglia la definizione di criminale di guerra, ma, ritiene il Collegio, è più esatto dire che Reder e un criminale in occasione della guerra… oltre che avere volutamente ignorato la doverosa condotta di ogni soldato degno della convivenza civile, è sceso ad ogni bassezza e crudeltà, portandosi al livello di quelli che son detto delinquenti comuni che uccidono, estorcono, rapinano, stuprano, distruggono… senza neppure il rischio che I delinquenti comuni corrono nell’esecuzione dei loro delitti”.

La mancanza di testimoni per molti dei crimini commessi, lo salverà dalla pena capitale (che, peraltro, era stata richiesta del Procuratore Generale). Sarà condannato all’ergastolo e alla degradazione. Rinchiuso nel carceremilitare di Gaeta, ne uscirà solamente dopo quarant’anni, graziato dal governo italiano, in considerazione del suo grave stato di salute.

Ma se la sentenza del Triubunale Militare di Bologna può dirsi inequivocabile, si deve dire anche che l’operazione Marzabotto venne considerata esemplare dallo Stato Maggiore Germanico (non solamente dalle SS). I superiori di Reder ne furono così orgogliosi, e fieri, da farne un “manuale” di istruzioni, stampato in Germania, e distribuito agli uggiciali e ai soldati, affinchè prendessero esempio dal comportamento innflessibile, tenuto dal “monco maledetto”, nell’occasione di quello che Quasimodo, nella sua epigrafe, ha bollaato come: “il più vile sterminio del popolo.”

Quello sterminio, ignobile, turpe, criminiale, nell’opuscolo stampato dallo Stato Maggiore Tedesco – titolo “Achtung! Banden. Gefahr!” – era indicato come il modello per combattere le bande partigiane in Italia (“Bandenbekampfung in Oberitalien”)

Più fortunato, anche se non meno responsabile di Walter Reder, il maresciallo von Kesserlring acquisterà la libertà in pochi anni, anche se il Tribunale Militare Alleato, insediato per l’occasione a Venezia, lo aveva condannato a morte, nel 1947, per le stragi delle Fosse Ardeatine, di Marzabotto, e altri efferati eccidi commessi in conseguennnza dei suoi ordini.

Il processo durò tre mesi, durante I quali con arroganza e cinismo, contesterà l’autorità di chi lo giudicava. Il 6 maggio 1947 sarà condannato alla pena capitale. Dopo appena cinque anni viene rimesso in libertà.

Rientrato nella sua Baviera – dove morirà otto anni più tardi – viene accolto come un eroe dei neonazisti, ed ha l’impudenza di dichiarare che il popolo italiano avrebbe dovuto essergli grato. Anzi dovrebbe erigergli un monumento. Sarà questa l’occasione per la nota epigrafe di Calamandrei: “Lo avrai camerata Kesserling, il monumento che pretendi da noi italiani…”

Enzo Biagi, si recò ad intervistarlo per la Tv: “Maresciallo, cosa le ricorda il nome di Marzabotto?”, chiede Biagi. “Una normale operazione militare”, risponde Konrad Albert von Kesselring.

 
chiudi